L'Articoli sulla Turchia: MISSIONE CAPRINI
   
 

 

 

 

Missione Caprini

 

Gli interventi della presentazione del libro MISSIONE CAPRINI: il contributo dell'arma dei carabinieri per il riordino della gendarmeria ottomana.

Cesario Totaro e Antonio Bagnaia

l'Intervento Dr Antonio Bagnaia (autore)

 

 

Un dovuto ringraziamento ed un sentito benvenuto.

 

L’idea di scrivere un libro sull’argomento, nasce dalle numerose testimonianze di cittadini turchi, da me intervistati tra il 1968 e il 1970, che, ricordando il periodo della nostra azione militare di pacificazione, di mantenimento dell’ordine pubblico e di riorganizzazione della Gendarmeria, manifestarono avere un felice ricordo della presenza italiana. Nasce, così, dalla necessità di comprendere quei meccanismi che hanno permesso ai militari italiani il mantenimento della pace, creando quel difficile necessario equilibrio culturale e di comportamento poi intercorso tra popolazione locale e forze dell’ordine, tanto da indurre una parte dei primi ad averne un buon ricordo. Forse la chiave di questo equilibrio era racchiusa in uno dei primi dispacci d’ordine del 1919: Le nostre truppe sono tenute ad agire nel pieno rispetto della popolazione civile, delle consuetudini e delle tradizioni culturali e religiose del popolo turco.

 

Il testo, a carattere storico scientifico, è basato su ricerche d’archivio svolte sia in Italia che in Turchia. A questo fine sono stati utili gli archivi del Museo Storico dell’Arma dei Carabinieri, (e qui, permettetemi di farlo, vorrei ringraziare ancora una volta il Gen di Brig. Medaglia d’Oro al Valor militare Dr Umberto Rocca, cittadino onorario di Capranica e presidente dello stesso Museo, che gentilmente ha accettato di essere presente a questa manifestazione), quelli dello Stato Maggiore dell’Esercito, degli Affari Esteri, dell’Ataturk Kitapli, gestita dal Comune di Istanbul, e della chiesa cattolica di Saint Antoine, dipendente dalla delegazione apostolica in Turchia, dove, e qui mi piace ricordare, l'azione, dell’allora, monsignor Roncalli ottenne risultati di rilievo durante la Seconda Guerra Mondiale, conservando un prudenziale atteggiamento di neutralità, che gli permise di svolgere un'efficace azione di assistenza a favore degli Ebrei, salvati a migliaia dallo sterminio, e a favore della popolazione greca, stremata dalla fame.

 

Il titolo “Missione Caprini”, prende nome dal lavoro svolto dall’ufficiale dell’Arma dei Carabinieri  Col. Balduino Caprini, nobile di Viterbo, che fu anche, nel momento più delicato degli avvenimenti turchi, investito del comando delle truppe di polizia interalleata. Il Caprini era un ufficiale esperto in materia, in quanto aveva già partecipato alla riorganizzazione della Gendarmeria Crestese giudata dal gen. dell’Arma dei Carabinieri de Robilant.

 

Articolato in quattro capitoli, racconta dell’occupazione italiana dell’Anatolia, avvenuta tra il 1919 e il 1923. Evento storico poco conosciuto, così come venne offuscato per le euforie di Trento e Trieste, che si colloca alla fine della prima guerra mondiale e trova come protagonista il nostro esercito e la nostra diplomazia.

 

Sono, in particolare, studiate le vicende della riorganizzazione della Gendarmeria Imperiale affidata all’Arma dei Carabinieri, per la sua già nota esperienza e professionalità dimostrata, a partire dal 1904, nella missione di riordino della Gendarmeria Cretese voluta, allora, dal sultano Ottomano.

 

Tratta di una missone interalleata armata di pace, dovuta ad una vittoria militare, effettuata in quei territori restati, dopo l’armistizio del 1918, nelle mani dell’İmpero ottomano e che, si configurano oggi, con l’odierna Turchia.

 

Alla missione, che aveva come obiettivo di far rispettare l’armistizio, riportare e controllare l’ordine pubblico, parteciparono, come previsto dai vari trattati precedentemente stipulati, racchiusi in quello definitivo di Sevres, i corpi di spedizione dei Paesi vincitori: Italia, Francia, Inghilterra e Grecia.

 

In base al trattato di Sevres, la zona d’influenza italiana si estendeva sulla Cilicia montuosa e comprendeva le città di Marmaris (Marmarizza), Bodrum (Alicarnasso), Antalya, Adalya, Fetiye: centri marittimi che oggi hanno acquistato grande interesse turistico. Ad oriente della nostra zona si estendeva quella di diritto francese: la Cilicia pianeggiante, che confinava con la Siria e, con quello che poi sarà, l’Iraq, i cui maggiori centri erano Maras e Mersine. A nord della nostra zona, nella provincia di Izmir (Smirne), si estendeva quella greca. Agli inglesi spettava il controllo dei Dardanelli. La città di Istanbul rimaneva sotto il controllo interalleato.

 

L’opinione pubblica turca si schierò immediatamente contro il trattato di Sevres e si dichiarò apertamente contraria ad un’occupazione straniera della nazione.

 

Quando un ufficiale del sultano, Mustafa Kemal, incaricato di controllare l’armistizio nelle provincie nord orientali del Paese, disertò, cavalcando il dissenso popolare a Sevres, prese ad organizzare truppe che, in nome di una Turchia unita, libera, laica e repubblicana, volevano continuare la guerra, idetificandosi in un movimento armato di resistenza.

Mustafa Kemal non limitò la propria azione alla riorganizzazione dell’esercito, ma creò un nuovo ordine di potere repubblicano basato su un Congresso Nazionale: uno Stato nello Stato. Si apri una guerra civile.

 

İ nazionalisti elessero a Samsun, nel nord est del Paese, una Grande Assemblea Nazionale, un vero e proprio parlamento che stringeva a se sia i vertici militari, che il nucleo ideologico della nuova Turchia che, allora, mostrava le sue due facce a confronto: quella monarchica e quella repubblicana. La prima, legata agli avvenimenti storici che la vedevano come nazione sconfitta, ocupata e lontana dagli umori popolari, la seconda, rappresentava il volere popolare e combatteva per l’indipendenza nazionale, contro il sultano che aveva venduto la nazione allo straniero.

 

L’attenzione nazionalista si rivolse subito contro la presenza dell’esercito greco in territorio anatolico, sentita come un’occupazione permanente, che preludeva allo smembramento della nazione, per dar vita ad una “Magna Grecia” , assecondando il disegno del primo ministro greco Venizelos. Timori che venivano rafforzati dalla minaccia, sbandierata da inglesi e francesi, della possibile cessione di territori turchi d’oriente a favore di una grande Armenia e per la probalile nascita di altri due stati indipendenti: il Lagistan a nord est, e, il Kurdistan a sud est.

 

Su questo scenario non tardò ad agire l’ingerenza della neonata Unione Sovietica che, fedele alla teoria d’esportare la rivoluzione in altre nazioni per rompere l’isolamento politico in cui era caduta, cercava di trasformare la guerra di liberazione in rivoluzione nazional popolare di tipo bolscevica.

 

İ sovietici, per raggiungere il loro obiettivo, presero ad inviare agenti, materiale di propaganda, capitali ed armamenti di varia natura. La conseguenza fu il sorgere, all’interno dell’esercito laico nazionalista e nell’opinione pubblica, di vari gruppi e movimenti d’ispirazione comunista.

 

La situazione era dunque precipitata in una spirale violenta che non permetteva di intravedere una fine certa della nostra missione e che aggiungeva agli obiettivi, dapprima basati sul riordino della gendarmeria, sul controllo del disarmo e sul mantenimento dell’ordine pubblico, anche quello di dover creare un servizio controllo russi.

 

Obiettivi, resi ancora piu’ difficili per la concorrenza dell’occupazione greca con quella italiana.

 

La rivalita’ italo greca era dovuta alle scelte della conferenza di Versilles che aveva assegnato il territorio di İzmir, gia’ promesso all’İtalia dagli accordi di San Giovanni di Moriana che sancirono la sua entrata in guerra a fianco degli alleati, agli ellenici, che erano entrati anch’essi in guerra a fianco degli eserciti imteralleati durante gli ultimi mesi del conflitto e dopo gli accennati accordi.

 

Proprio per timore che l’esercito greco potesse sconfinare in territori italiani, il nostro corpo di spedizione era sbarcato in Anatolia, in modo anticipato e segreto.

 

L’assegnazione di Smirne alla Grecia aveva creato discordie politiche anche tra İtalia ed Alleati. Specialmente con gli inglesi che, secondo la nostra diplomazia, avevano modificato gli accordi presi con l’Italia per favorire le idee espansionistiche della Grecia che rappresentavano un pericolo futuro per la polıtıca italiana protesa nel Mediterraneo.

 

L’İtalia riteneva l’occupazione temporanea e sperava nella nascita di una nuova democrazia, non necessariamente nazionalista, nel Paese. Democrazia che sarebbe piu tardi tornata utile per ottenere nuovi spazi di mercato su quella sponda asiatica, rafforzando cosi’ la propria influenza economia a favore della nascente industria. Di contro, la presenza italiana in Anatolia serviva ad ostacolare in qualche modo i disegni colonialistici francesi ed inglesi, che gestivano l’occupazione anatolica per rafforzare le loro pretese imperialiste, mirando allo smembramento della nazione, creando degli statarelli che avrebbero poi gestito sotto la loro influenza economica.

 

Quando le truppe nazıonalıste iniziarono la loro lotta di liberazione l’İtalia, fin dal principio, non nascose la propria simpatia nei confronti del movimento kemalista, che nei suoi obiettivi di unita’ nazionale assomigliava cosi’ tanto a quegli ideali risorgimentali nostrani. Cosi’ il comando italiano, per volonta’ del governo di Roma, non tardo’ a diramare l’ordine di non ostacolare quelle eventuali manovre militari turche kemaliste che avvenivano nella propria zona d’influenza.

 

Francesi ed inglesi non fecero lo stesso, essi pensavano che mantenere l’ordine pubblico fosse anche reprimere sul nascere le pretese di liberazione nazionale basate sulla lotta partigiana.

İ francesi, che occupavano la Cilicia pianeggiante, tentarono in qualche modo di reprimere il movimento. Questo comportamento non piacque ai nazionalisti che non tardarono ad attaccare militarmente la guanigione francese stanziata a Maraş, ottenendo una clamorosa vittoria, di qui un riconoscimento politico da parte francese che iniziò a colloquiare con emissari nazionalisti.

 

İl sultano, con il consenso inglese, non tardo’ a reagire militarmente contro i nazionalisti ed inviò truppe contro il nuovo potere, ma queste furono duramente sconfitte ad Izmit, cittadina a un centinaio di chilometri da Istanbul. Stessa sorte tocco’ all’Armata Verde, costituita da bande armate fedeli al sultano e di ispirazione islamica guidate da Hetem.

 

Mentre Mustafa Kemal otteneva i primi successi, sul Caucaso, si andava formando una grande armata, composta da 45.000 uomini, ben armata dai sovietici: l’Armata rossa di Enver Pasa, già ministro della guerra ottomano, a capo del triumvirato che condusse la guerra contro gli Interalleati. Quest’armata reclutava elementi laico socialisti nell’est del paese ed attendeva il momento opportuno per intervenire sul teatro anatolico.

 

Sul fronte occidentale, i greci, forti di 120.000 uomini ben armati, spezzarono la resistenza nazionalista e presero ad avanzare verso oriente con l’obiettivo di occupare Ankara, che era divenuta la nuova capitale dei nazionalisti.

 

Nei territori presidiati dal contingente italiano regnava una calma apparente, in quanto quel corpo di occupazione non ostacolava i preparativi militari delle bande armate stanziate sulle montagne e queste non infastidivano i nostri presidi. Queste bande erano una spina nel fianco greco. İnfatti, sconfinando facevano azioni militare veloci che procuravano quasi sempre perdite tra le truppe greche e, raggiunto il loro obiettivo, prima che i greci potessero riorganizzarsi in una controffensiva, rientravano nei territori presidiati dagli italiani, dentro i quali gli ellenici non potevano inseguirli. Le proteste greche non tardarono ad arrivare ma, vennero sempre respinte al mittente per questioni di mantenimento di ordine pubblico.

 

Gli italiani, che non volevano essere trascinati in una guerra che non gli apparteneva, temendo di essere coinvolti in scontri armati contro i partigiani turchi come chiedevano i greci, entrando così nel mirino delle bande armate con gravi conseguenze per i militari impegnati, diminuirono notevolmente il proprio contingente.

 

Si voleva evitare ogni qualsiasi conflitto con i turchi per non compromettere gli avviati colloqui del comando italiano e di quello francese con gli emissari nazionalisti. Contatti che avvennivano sempre più spesso, e che avevano portato le due nazioni europee a fornire armi e munizioni ai rivoluzionari.

 

İl problema non era quello di armare i turchi per sancire una sconfitta greca ma, questi aiuti servivano ad allentare quelle simpatie filo sovietiche che serpeggiavano nel parlamento di Ankara. İnfatti, se l’esercito nazionalista avesse vinto la propria guerra con il solo aiuto di Mosca, che lo riforniva di armi ed argento, molto probabilmente il nuovo nascente Stato sarebbe caduto sotto l’egemonia comunista.

 

Invece, grazie a questi aiuti, l’esercito nazionalista passo’ al contrattacco e spezzo’ il fronte greco, proprio quando questi erano ormai nei pressi di Ankara. Fu la fine del contingente che prese a regredire verso l’Egeo e, ad Izmir, conobbe la sconfitta finale.

 

Ultimo baluardo antinazionalista era costituito dal contingente inglese stanziato sui Dardanelli. Truppe ben armate, con artiglieria pesante supportata da mezzi aerei. Gli inglesi dappima sbarrarono la strada ai nazionalisti quindi, dietro le pressioni delle potenze occidentali, in primis di francesi ed italiani, accettarono l’ormai avvenuta vittoria nazionalista e lasciarono passare le truppe turche che dilagarono in Tracia. Agli inglesi non rimase che organizzare la fuga all’estero del sultano.

 

A questo punto entro’ in scena l’armata rossa di Enver, ma non marcio’ contro Ankara bensi’ contro i sovietici, che l’imbrigliarono e la distrussero sul Caucaso. Enver mori in battaglia, così come vuole un’antica tradizione militare turca.

 

Nel 1923 le truppe interalleate lasciaro Istanbul, che fu rioccupata dalle truppe turche repubblicane.

 

Era nata la Repubblica di Turchia, laica, indipendente e di tendenze europeiste.

 

La particolarita’ di questa missone, al di la’ di quanto é stato finora detto, é stata la riorganizzazione della Gendarameria imperiale ottomana, affidata all’Arma dei Carabinieri Reali, gia’ forte dell’esperienza fatta nella riorganizzazione della Gendarmeria Cretese, poi interrotta per lo scoppio della prima guerra mondiale. İl compito della riorganizzazione fu affidato al col. Balduino Caprini, già ufficiale riorganizzatore delle Gendarmeria Cretese.

 

İ Carabinieri, in questa occasione, tentarono di riorganizzare la gendarmeria ottomana a specchio della propria Arma. Per raggiungere l’obiettivo della riorganizazione, gli ufficiali dei carabinieri stilarono tre progetti di cui, uno che doveva essere quello definitivo, a firma del col. Caprini.

 

Gli ufficiali ne studiarono dipendenze, leva, armamento, paghe, istruzione, e soprattutto, per la sua composizione, tennero presente che la gendarmeria era composta da elementi di differente religione.

 

Sul piano pratico, l’Arma ricostitui’, nelle varie localita’ d’occupazione italiana le necessarie stazioni utilizzando anche i pochi elementi validi che avevano gia’ operato nella vecchia gendarmeria. Per coprire l’intera area di occupazione e stabilire l’ordine nelle zone piu’ remote, costituirono delle pattuglie mobili, che saranno soprattutto utili nel momento della riduzione del corpo d’occupazione e durante l’evacuazione.

 

L’Arma dei carabinieri seppe accattivarsi le simpatie della popolazione e svolse la missione senza subire perdite in combattimenti o pattugliamenti e senza che nessun proprio elemento fosse posto sotto giudizio.

 

Al di la’ del compito vero e proprio di riorganizzazione, seppero gestire in modo costruttivo l’evacuazione, lasciando il controllo nelle mani degli elementi turchi nazionalisti che si reimpossessarono di quelle aree senza spargimenti di sangue o vendette.

 

Per quello che riguarda l’evacuazione della Turchia occidentale, saranno proprio i Carabinieri reali che gestiranno l’ordine pubblico e, in quell’occasione, il comando delle forze interelleate d’occupazione di polizia passera’ al colonnello Caprini. Scelta effettuata dal comando interallato, vista la stima che la popolazione turca riservava per i Carabinieri Reali. İn questo frangente i Carabinieri svolsero un eccellete lavoro ed evitarono massacri e vendette tra la popolazione turca, che si reimpossessava delle proprie case, e quella greca, che ritirava verso la propria madre Patria.

 

Altro compito che i Carabinieri svolsero con successo, fu quello di intelligence, mirarto a smantellare le organizzazioni filosovietiche che operavano nella citta’ di İstanbul. Così l’Arma intercetto’ vario materiale di propaganda e svolse un efficace controllo sugli agenti sovietici. Studio’ capillarmente tutti i movimenti politici attivi nella capitale imperiale e, i suoi ufficiali e sottufficiali redassero nutrite verbalizzazioni.

 

La missione ha rappresentato anche un contributo alla nascita della Repubblica di Turchia con aspirazioni europee. İnfatti, la vittoria delle forze nazionaliste ha rappresentato la fine della Turchia ottomana basata su principi religiosoislamisti ed ha sancito l’adozione di una costituzione moderna ispirata su principi di liberta’. İnfatti con l’avvento dei nazionalisti si ebbe l’abolizione dell’autorita’ religiosa del califfato, l’abolizione dell’alfabeto arabo che venne sostituito con uno neolatino, l’abolizione del velo per le donne e del fez per gli uomini, l’adozione del codice penale e di quello civile a copia di quello italiano, l’adozione del codice commerciale a copia di quello svizzero, l’introduzione del voto a suffragio universale.

 

Per concludere, un ringraziamento particolare va al Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri che ha permesso la ricerca scientifica nei propri archivi e, contemporaneamente, sottolineare la gentilezza a me riservata da parte dei dirigenti e del personale del Museo Storico dell’Arma dei Carabinieri.

İnfine, a riprova dell’attualita’ della missione, nella stesura dello stesso, ho trovato come coautore e collaboratore il magg. Cesario Totaro, che ha partecipato ad alcune missioni in area balcanica e crede nella nuova idea, presentata nel 2003 dal ministro della difesa francese, madame Agliau, di unificare in una gendarmeria europea tutte le forze di polizia nazionali e d’ordinamento militare. Programma a cui hanno aderito Olanda (marshosse), Francia (gendarmerie), Italia (carabinieri), Spagna (guardia civil) e Portogallo (guardia national).

 

Grazie.

Antonio Bagnaia

 

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Intervento Dr.ssa Laura de Clementi (consulente FAO)


Spettabili autorità,

gentile pubblico

E’ per me un onore e un vivo piacere partecipare oggi a questo evento di presentazione del libro Missione Caprini, evento che, celebrato qui a Capranica ha uno speciale significato.

Infatti è cittadino di Capranica uno degli autori, il dr. Antonio Bagnaia, che da almeno due decenni ha dedicato molto tempo ed energie a promuovere e rafforzare i rapporti economici e culturali di quest’area del viterbese con la Turchia.

Il motivo per cui oggi sono qui a parlare è del tutto personale, è dovuto cioè alla mia ormai trentennale amicizia con Antonio, il quale mi ha permesso di conoscere sia quest’area particolarmente bella del viterbese, ricca oltre che di notevoli bellezze naturali anche di importanti memorie etrusche; sia le interessanti vicende dei carabinieri in Turchia negli anni successivi alla prima guerra mondiale. D’altra parte mi ha dato anche l’occasione di fornire ad Antonio qualche consiglio e orientamento generale soprattutto quando le sue ricerche storiche muovevano i primi passi.

Questo libro infatti, scritto in collaborazione con l’ufficiale dei carabinieri Cesario Totaro, è il prodotto più recente di lunghe ricerche di archivio condotte da Antonio  in Italia e in Turchia, che hanno già dato luogo ad altre importanti pubblicazioni, e il frutto di una profonda conoscenza che il dr. Bagnaia è andato progressivamente acquisendo della cultura e della storia turca.

Io non sono un’esperta dei temi storici trattati nel libro, però la mia lunga traiettoria lavorativa si è svolta tutta nell’ambito della cooperazione con i paesi in via di sviluppo, prima con il MAE e poi con la FAO.

Sono stata in vari paesi del terzo mondo, che vivevano una guerra civile o ne avevano appena conclusa una, paesi come Uganda, Mozambico, Angola, Nicaragua, Guatemala, El Salvador. Ciò di cui sono stata testimone, per periodi a volte brevi a volte abbastanza lunghi, mi ha reso pienamente consapevole del ruolo fondamentale delle forze di peace keeping o peace building per il mantenimento o la costruzione di una progressiva pacificazione delle fazioni in lotta, dopo vicende violentissime e dolorosissime che hanno distrutto il tessuto sociale di un paese dove odio e armi circolano con uguale abbondanza.

Ma quest’azione si può svolgere in vari modi: o con arroganza, attitudine alla repressione, disprezzo per le razze, culture e interessi locali, o invece con personale formato allo spirito di dialogo e alla solidarietà, alla curiosità, rispetto e interesse per il punto di vista delle popolazioni “da pacificare”.

Questa seconda opzione sembra essere da sempre quella dei carabinieri italiani, oggi in Libano, Iraq, Afghanistan come ieri durante la missione Caprini. Mi ha colpito molto una considerazione del prefattore del libro, Massimo Introvigne, che così conclude l’introduzione: “…la lettura dei dispacci degli ufficiali che operarono…in quel difficile teatro ci mostra che essi erano consapevoli del profondo attaccamento alla religione dei turchi, scettici sui tentativi di governare prescindendo dall’Islam, e capaci di intrattenere sul terreno concreto della soluzione dei problemi di ordine pubblico, sanitari e umanitari di ogni giorno, un dialogo dei fatti che certo non sostituisce né il dialogo inter-religioso…né la diplomazia internazionale, ma può creare per entrambi un terreno favorevole”. Ossia una intelligence basata sul realismo e su un buonsenso costruttivo.

Attualmente sono circa 9000 gli italiani, di cui mille sono carabinieri, impegnati in diverse operazioni di pace in ambito ONU, NATO e OSCE. Avendo operato in ambiente internazionale, ho avuto molte conferme da parte di funzionari delle agenzie ONU implicate sul terreno, che dove ci sono i militari italiani e finché  non subentrano fattori esterni ingovernabili, il rapporto con la popolazione locale è eccellente perché gli italiani fanno davvero il possibile per aiutarli. E in questo, mi è stato detto, si distinguono rispetto al comportamento delle truppe di altri paesi.

Sarebbe bene che storie come quelle della Missione Caprini, o di altre più recenti missioni di pace dei carabinieri fossero più conosciute e studiate, anche se la simpatia popolare per l’arma dei carabinieri c’è sempre stata, anche negli anni più bui della nostra storia, e la cronaca non manca di menzionarli per atti di generosità e a volte di eroismo.

 

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Intervento prof. Giovanni D’Erme (Istituto Orientale di Napoli)


Cesario Totaro e Antonio Bagnaia, Missione Caprini. Il contributo dell’Arma dei Carabinieri per il riordino della Gendarmeria Ottomana, Pintore, Torino 2005.

Il libro è dedicato a un periodo della storia turca  la cui brevità – gli anni immediatamente successivi alla I Guerra Mondiale – ha la subitaneità di una nascita. È infatti allora che nasce la Turchia che oggi conosciamo, caricata però, dalle sue lunghissime e imperiali tradizioni, di tutte le complessità e persino di tutte le apparenti contraddittorietà di un grande organismo. La medicina d’oggi, pur riconoscendo all’ereditarietà tutta la sua ovvia importanza, ha posto in luce anche la grande influenza che sul carattere e la personalità del nascituro dispiegano molti fattori connessi sia alla gestazione, sia a quel decisivo trauma che si subisce nel venire partoriti.

Ebbene, è proprio intorno a momenti  paragonabili a questi, e cioè al formarsi del primo embrione e al venire alla luce della Repubblica di Turchia, che la storiografia occidentale mostra una certa debolezza, mancando di informazioni davvero precise ed esaurienti. Tanto più, allora, il bel volume di Cesario Totaro e Antonio Bagnaia vede accrescersi il pregio già insito nell’ottima concezione ed esecuzione dell’opera.

La difficoltosa e abile opera dei militari italiani, opportunamente inserita da Cesario Totaro in un più ampio quadro storico-diplomatico di riferimento, viene egregiamente illustrata da Antonio Bagnaia grazie una ricerca di eccellente impianto, imperniata sull’utilizzo di una cospicua quantità di materiale tratto dagli ampi e preziosi archivi dell’Arma dei Carabinieri e dello Stato Maggiore dell’Esercito. Si è trattato di una non lieve fatica, perché le centinaia di documenti elencati in bibliografia come “fonti primarie” hanno significato la consultazione e l’analisi di una massa documentale ben più ingente. Questa faticosa, vigile ed encomiabile ricerca si è rivelata in questo caso non solo utile, ma indispensabile, visto il non confortante quadro che emerge dall’esame delle “fonti secondarie” (memorie, volumi e articoli): si tratta infatti di informazioni molto povere e magre, come già anticipato, se confrontate a una situazione geo-politica pregna di importantissimi sviluppi destinati a ripercuotersi a lungo e in un ambito molto più vasto. Si è così reso necessario ricostruire gli eventi partendo spesso dalle parcelle elementari dei dispacci e degli altri materiali di archivio. Questi hanno dovuto, naturalmente, essere esaminati e valutati con grande acribia, e selezionati e coordinati attentamente, onde essere trasformati in vero e proprio materiale storiografico solido e coerente.

Nonostante queste non piccole difficoltà, la ricostruzione delle intricate vicende messe in moto dalla politica internazionale e, più in particolare, dall’azione italiana sul campo, nonché la descrizione delle condizioni spesso contraddittorie e sempre molto delicate in cui si svolsero, sono accurate, sempre attente, e la relativa narrazione risulta di conseguenza agevolmente recepibile: ritengo che l’ormai lunga esperienza della Turchia maturata da Antonio Bagnaia, la sua personale conoscenza dei luoghi e dell’ambiente culturale, non siano estranee all’acume analitico e alla chiarezza espositiva delle sezioni da lui curate, doti peraltro già dimostrate in altri pregevoli scritti dedicati alla storia turca; la sua particolare formazione culturale ha pure assai giovato alla buona comprensione degli intricati fenomeni posti in essere in Turchia dalla propaganda della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa e dalla sua erede, l’Unione Sovietica. Queste commendevoli doti permeano tutto il volume e ad esse hanno pure portato un apprezzabile contributo le note, concise ed equilibrate, cui è stato affidato il chiarimento di numerosi ed importanti dettagli, alleggerendone il flusso diegetico principale, che è risultato così più scorrevole, serrato e felicemente essenziale.

La buona comprensione degli avvenimenti presi in esame, nella variegata complessità della trama disegnata dai diversi pertinenti episodi,  è stata pure facilitata dalle mappe e dalle cartine geografiche inserite nel testo, nonché dalla particolareggiatissima e accurata tabella delle varie dislocazioni dei reparti italiani in territorio turco e dall’utilissimo schema cronologico riportati in appendice. Pure l’amplissima documentazione fotografica è molto apprezzabile a tal fine. Si può affermare che il volume rappresenti un primo prezioso mattone posto nella falla storiografica della quale si è prima parlato.

[In corsivo, inserisco ciò che ho frammentariamente riassunto perché mi sembrava che l’ora fosse ormai precipite:

Nella prefazione si parla dell’adesione alle teorie di Comte da parte di Kemal futuro Atatürk. Ciò riduce l’azione del generale turco alla ricerca di un “laicismo” che ha il carattere di una sorta di cosmesi modernistica e che appare perciò molto riduttivo. In essa si deve leggere piuttosto l’atteggiamento dei “popoli imperiali”, quali i Persiani e i Romani, capaci di fondere in un insieme organico e coerente elementi in origine disparati e diversi. Più prossimi a noi e quasi ai Turchi coevi, sono  i Normanni che fondarono la potenza del regno inglese e costituirono in Italia, con gli Altavilla, un Regno del Sud per molti versi notevole. Questo, infatti, seppe porsi come legittimo non solo davanti al Papa, ma pure nei confronti dei sudditi musulmani interni (di Sicilia) e esterni (quelli del pur non molto duraturo dominio sulla Tunisia) e giunse molto vicino, con Guglielmo il Malo, ad espugnare la stessa Costantinopoli, essendone impedito solo dallo scoppio di una forte pestilenza nell’esercito. (A Costantinopoli avrebbe potuto regnare il nipote di Guglielmo, Federico II di Svevia!). È un comportamento che non si esaurisce nella copia passiva di un modello “più progredito” ma implica invece la capacità di individuare (e già non è poco), fare propri, assimilare e metabolizzare i modelli economici, politici, religiosi, sociali, proposti dal mondo nel quale ci si vuole inserire in modo egemonico o, almeno, non succube. Le tribù turche o turchizzate che premettero contro i confini prima sasanidi e poi califfali seppero sottoporsi a modificazioni culturali di grande rilievo, ispirandosi alle società iraniche prima e poi islamizzandosi, attenuando le proprie abitudini nomadico-pastorali (o, per lo meno, giungendo a un più diffuso rispetto degli insediamenti agricoli preesistenti al loro arrivo), recependo concezioni della regalità, della legalità e dello stato ad essi originariamente estranee, fino a farsi difensori di questi nuovi valori perfino contro le tendenze eterodosse del mondo “altro” nel quale si erano stabiliti (è il caso dei Selgiuchidi d’Iran verso gli Isma‘iliti, per esempio). Nel presunto “modernismo” di Atatürk è questo che va letto e non un opinabile amore per l’occidente. La sua non piena riuscita è forse da attribuire al fatto che la società “sorgente” dei valori da metabolizzare era essa stessa in evoluzione così rapida (o, forse, in crisi così profonda) da rendere quei valori continuamente mobili e precari e quindi non individuabili con sufficiente certezza.]

 

Il volume, però, ha pure un altro valore: quello di risarcimento di un diffuso atteggiamento che talvolta rasenta l’indifferenza. Mi riferisco al non grande interesse della pubblica opinione per il ruolo internazionale dell’Italia, tanto nel passato che nel presente, e dell’ancor minore consapevolezza del brillante esito che molte difficili missioni di pace svolte dalle nostre forze armate, e in particolare dai Carabinieri, hanno fatto registrare molto più spesso di quanto non si creda o non si ricordi. Tanto più lodevoli vanno considerate tali operazioni se si pensa alla severa inadeguatezza delle dotazioni tecniche e finanziarie poste a disposizione di ottime capacità, vocazioni e competenze. È giusto e doveroso rendere merito, allora, ai nostri soldati e anche a chi delle loro fatiche ha voluto parlarci.

FONTE: Il Sig. Antonio Bagnaia (Autore) - 25.03.2007

https://www.ibs.it/libri/autori/antonio-bagnaia


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